Ciao crostacei! Oggi mi va di parlarvi della mia ultima lettura: “La misura dell’uomo” di Marco Malvaldi.
Premetto che è stato un regalo, ed ero molto scettica a riguardo. I romanzi storici, specialmente tra Medioevo e Rinascimento, non sono il genere che amo maggiormente leggere. Ma siccome giaceva in libreria da inizio Gennaio, e soprattutto sentendone parlare da tutti, mi sono convinta e l’ho iniziato.
La trama si svolge nel Rinascimento, in quel di Milano. Ludovico il Moro, ha commissionato a Leonardo da Vinci una statua equestre in onore del padre, i duca di Francia vogliono invadere il Regno di Napoli e ancora aleggia l’incubo della peste. In questo sfondo tra lo storico e il romanzato, avviene un omicidio. Il corpo di un giovane viene trovato in mezzo alla piazza di Ludovico il Moro. Chi l’ha ucciso? O cosa? Leonardo da Vinci verrà chiamato a risolvere il caso, con il suo genio.
Mi ha sorpresa questo romanzo. All’inizio le “interferenze” nella narrazione, da parte dell’autore stesso, le trovavo di difficile gestione. Spezzavano l’immersione nella trama. Poi dopo poco ci si abitua e diventano anche piacevoli. Malvaldi è ironico, ha uno stile fluido e accattivante, tanto da non far sentire le 300 pagine.
La figura di Leonardo da Vinci, prende vita. Con le descrizioni dei piccoli gesti, dei pensieri e del suo sconfinato intelletto, Malvaldi riesce davvero a regalarci una visione dell’uomo che potrebbe essere stato.
La componente “gialla” è presente, ma nel mio caso è passata molto in secondo piano. Non mi spingeva a continuare. Quello che invece mi faceva proseguire nella lettura, era il poter passare del tempo con Leonardo da Vinci e Ludovico il Moro. La caratterizzazione dei personaggi è davvero degna di nota.
“La misura dell’uomo” citata nel titolo, prende forma verso la fine del romanzo, lasciando interessanti riflessioni. L’uomo con cosa può mettersi a confronto, così da assumere valore?
Esiste un metro di giudizio univoco ed universale, così come il metro, il litro, il volume, per l’uomo? Cosa lo porta ad essere più o meno una persona valida?
Io sono dell’opinione che non debba esistere per forza una misura. Non uguale per tutti. I pregi, i difetti, la moralità, il comportamento, non andrebbero analizzati da una socialità. Si rischia di perdere l’unicità, sia della persona stessa, che del pensiero. Trovo giusto che ognuno abbia il suo metro di giudizio, in base a ciò che ha maturato nella propria vita. La scala di valori deve essere personale. Tutti sennò dovremmo ambire ad un prototipo sociale che ci dia un risalto, un valore, un senso. Ma citando Vasco: un senso non ce l’ha. Nessuno dovrebbe decretare in base a criteri preconfezionati il nostro valore. Ognuno è libero di scegliere ciò che preferisce, senza per questo deprecare la diversità.
La misura dell’uomo per me dovrebbe essere la personalizzazione di essa. Basata su ciò che per noi, e noi soltanto, è giusto o sbagliato.
Vi lascio come la solito la canzone, che ha fatto da colonna sonora alla mia lettura.